24- GIORNO- MESE DEL SACRO CUORE- Dagli scritti di S. MARGHERITA M. ALACOQUE

persever

GIORNO XXIV.

I. I santi rigori dell'amor divino.

- Questo unico Amore dell'anima mia mi fece vedere in lui due santità, l'una di amo­re e l'altra di giustizia; amendue rigorosis­sime a loro maniera, che doveano di con­tinuo esercitarsi sopra di me. La prima mi farebbe soffrire una specie di purgatorio dolorosissimo a sopportare, in sollievo delle sante anime colà rinchiuse, alle quali per­metterebbe, a suo piacere, di rivolgersi a me la seconda, sì tremenda e spaventevole ai peccatori, mi farebbe sentire il peso del suo giusto rigore, dandomi a soffrire per questi e particolarmente, diss' egli, per le anime a me consecrate, a cagione delle quali io farotti vedere e sentire appresso quanto ti converrà patire per mio amore.

« Nella prima solitudine che seguì la mia professione, i due o tre primi giorni questa santità divina si aggravò ed impresse tanto fortemente in me da rendermi incapace di far orazione e di sostenere l'interno do­lore che ne risentiva. Io sperimentava una tale sfiducia ed un dolore sì grande di com­parire innanzi a Dio, che se la medesima potenza che mi facea soffrire non aves­semi sorretta, avrei voluto mille volte inabissarmi, distruggermi, annientarmi, ove fosse stato in mio potere. E con tutto que­sto io non potea ritrarmi dalla divina pre­senza, dalla quale io era perseguitata ogni dove, come'una rea in procinto di ricevere la sua condanna, ma con una sommissione così grande al volere del mio Dio, ché di­sposta ero sempre ad accogliere tutte le pene ed i dolori che a lui piacerebbe in­viarmi col medesimo contento che farei colla soavità del suo amore.

Una volta dopo sofferto a lungo sotto il peso della santità di Dio, io perdetti la voce e le forze. Tanta sentiva confusione in dovermi presentare alle creature che la morte mi sarebbe stata meno amara. La santa comunione mi riusciva sì dolorosa che mi sarebbe difficile l’esprimere, il tra­vaglio da me provato in accostarmivi, ben­ché non mi sarebbe stato permesso il riti­rarmene, mentre Ei medesimo che davami a patire in tale stato me lo proibiva. Potea dire col Profeta che le mie lacrime mi ser­viano di pane giorno e notte. Gesù Cristo in sacramento, solo mio rifugio, mi trattava con tanta indignazione, che io ne sofferiva una specie d'agonia, né vi potea dimorare che facendomi una suprema violenza; e se fuori dei tempi obbligati io me gli andava a presentare dicendo: Dove volete che io vada, o divina Giustizia, mentre voi mi accom­pagnate per tutto? Io entrava ed usciva senza saper che dovessi fare e senza tro­var riposo che nel dolore.

Un' altra volta mi sentii cosi forte imprimere la santità del mio Dio che mi sembrava non aver più forze a resistere, solo dicendo: Santità del mio Dio, quanto siete tremenda per le anime peccatrici! Altre volte: O Signor mio e mio Dio, so­stenete 1a mia debolezza, acciocché io non soccomba sotto la pesante soma, causa 1' enormità delle mie colpe, onde io merito tutto il rigore della vostra giustizia. Egli mi fece udire queste parole solamente: Io non te ne faccio provare che appena un picciol saggio, cui le anime giuste sostengono per timore che non cada sopra i peccatori.

All’uscire di una grave malattia da lei superata per virtù dell'obbedienza, scriveva: « La mia croce fu cangiata in una interiore; di cui vi confesso non potrei lungamente so­stenere il peso, se la stessa mano che mi af­fligge non si rendesse la mia forza, giacché mi sembra che la sua santità di giustizia mi abbia fatto sentire un piccol saggio del­l'inferno o piuttosto del purgatorio, poiché io non vi avea perduto il desiderio di arnar Dio. Io non saprei come esprimermi su questo punto, non potendo dire che mai sentissi in me; solo io era come una per­sona in agonia, tirata con funi per altrui mano ai luoghi dei suoi doveri, che sono i nostri esercizii. Io non risentiva in me nè mente, nè volontà, nè imaginazione, nè memoria; tutto erasi da me allontanato, lasciandomi senza più vigore alcuno; e tutte le mie pene imprimevansi tanto viva­mente in me che mi penetravano sino al midollo delle ossa. Insomma tutto pativa in me, che non sentiva più niente, tranne una intera sommissione alla santa volontà del mio Dio, del quale adoro i disegni. Ma come sarebbemi difficile il riferirvi tutta la serie di questa disposizione e quanto vi accadde, così noterò solo che essa mi fu rappresentata quale un picciol riflesso e participazione di quello che nostro Signore sofferse nell' Orto, dove anch' io dissi col mio Salvatore: Non la mia volontà, mio Dio, ma la vostra si compia, per quanto me ne costi; essendo io risoluta di pa­tire sino al termine col soccorso della sua grazia.

Altrove dice ancora la Santa: « Que­sta santità di amore pressavami sì forte i soffrire per corrisponderle, che io non potea trovare più dolce riposo del sentire il mio corpo sopraccarico di patimenti, l'anima mia in ogni maniera di derelizioni, tutto il mio essere nelle umiliazioni, nei dispregi e nelle contradizioni. Le quali punto non mi mancavano per grazia del mio Dio, il qua­le non potea lasciarmene priva un istante o nel mio interno o nell' esterno. E quando questo pane salutare diminuiva, mi biso­gnava cercarne altro per via di mortifica­zioni, e molta me ne porgea materia il mio, naturale risentito e superbo. Il mio so­vrano Maestro non volea che ne lascias­si andare perduta occasione; e quando così mi accadea, per la grande violenza che dovea farmi a sormontare le mie ripu­gnanze, egli me la facea pagare il doppio. E quando egli volea qualche cosa da me, mi stimolava si vivamente che mi era im­possibile il resistervi, ciò che molto mi diè a patire, per averlo sovente tentato. Egli mi prendeva per tutto quello che era più opposto al mio naturale ed alle mie inclinazioni contrario; a ritroso delle quali volga che io sempre camminassi.

II. Santi sgomenti della Santa.

- Que­sto frammento di una sua lettera alla madre de Saumaise ci dipinge in quali distretto si piacesse talvolta il Signore di metterla per purificarne l'amore. « Bisogna ben dire una paroletta della vostra povera e me­schina figliuola, che vi tien cara più tene­ramente che mai. Io la credo tutta pene e tutta patimenti senza soccorso nè ricorso, fuorchè al divin Cuore. Mi sono resa in­degna dei suoi lavori colle mie ingratitu­dini ed infedeltà, sebbene egli non desiste di essermi ancora misericordiosamente libe­rale quanto mai, e questo appunto accresce il mio tormento; perocchè io non, so se venga dal nemico, che assale il mio povero cuore, il doloroso pensiero che tutto ciò è volto a mia perdizione, e che Dio non fa tante grazie ad una si malvagia creatura, che ha menato una vita sì rea, e colle sue vane ipocrisie ha ingannato, le creature, particolarmente coloro che la guidano. Tra tutte queste agitazioni la vita mia mi viene rappresentata come in un quadro tanto abo­minevole, che quantunque io non sappia discernervi niente di particolare, pure mi sembra che non potrei sostenerne lunga­mente l'aspetto senza morirne di dolore, ove non mi sentissi allo stesso tempo fortificata e tutta circondata da una potenza invisibile che dissipa queste furie infernali, solo intese a togliermi la pace del cuore, come il Signor nostro me lo ha fatto co­noscere, se non m'inganno. Altra volta mi sorge in pensiero essere questa una pace falsa, solo proveniente dall'induramento di cuore, che mi rende insensibile al mio pro­prio male. Ma ohimè! madre mia buona, sarebbe mai possibile che quell'amabilis­simo Cuore avesse il coraggio di privar quello della indegna sua schiava di amarlo eternamente? Ditemi, ve ne scongiuro, a mia consolazione che ne pensiate ».

III. Che sia il peccato al lume di Dio.

- « Il mio divino Maestro mi diede una volta questa lezione: Impara, disse dopo certi falli commessi da me, come io sono un maestro santo che insegna, la santità. Io sono puro e non posso patire pur 1' om­bra di macchia. Io ti farò conoscere come non possa tollerare le anime tiepide e co­darde e se in sopportare le tue debolezze sono tanto dolce, non sarò meno esatto e severo in correggere e punire le tue infe­deltà. - E ben me lo ha fatto esperimen­tare tutta la mia vita: giacché posso dire che non mi lasciava passare il minimo fallo, in cui fosse anche pochissimo di volontà e di negligenza, senza riprendermi e punir­mene, benchè sempre nella sua misericordia e bontà infinita. Confesso per altro che niente mi era tanto doloroso quanto il ve­derlo anche lievemente corrucciato contro di me; al paragone di quello tutti gli altri dolori scomparivano.

Una visione di nostro Signore della sua croce e coperto di piaghe valse a metterle tuttavia in più vivo orrore il peccato. «Cominciai, ella dice, a meglio com­prendere la gravità e la malizia del peccato, cui detestava sì forte nel mio cuore che avrei mille volte, voluto gittar innanzi nel­l'inferno che commetterne uno volontaria­mente. O reo peccato, quanto se detesta­bile per la ingiuria che tu arrechi al mio sommo Bene!

In verità il mio Diletto ne ispira un così grande spavento all'anima mia che amerei meglio vedermi abbandonare alle furie di tutti i demoni che veder quella macchiata di colpa anche picciolissima.

« Per quanto sieno grandi i miei falli, quest'unico Bene dell'anima mia non mi priva mai della sua divina presenza secondo la sua promessa. Ma quando gli ho dispia­ciuto in alcuna cosa, me la rende sì terri­bile da non esservi tormento al quale non volessi di buon grado mille volte sacrificar­mi anzichè sostenere tale divina presenza e comparire avanti la santità di Dio coll'ani­ma brutta di alcun peccato. Avrei voluto nascondermi in tal caso ed allontanarmi, se avessi potuto: ma tutti erano inutili i miei sforzi, trovando io dappertutto ciò che fug­giva con tormenti cosi spaventosi che mi pareva di essere in purgatorio, mentre tutto pativa in me senza consolazione di sorta nè desiderio di cercarne; il che faceami dire talora nella mia dolorosa amaritudine: Oh quanto è terribil cosa il cadere nelle mani di un Dio vivente! In tal modo puri­ficava egli le mie colpe allorché io non era bastevolmente pronta e fedele a punirmene da me stessa.

Ma ohimè! che potrei io soffrire di grandezza uguale a' miei misfatti, i quali mi tengono continuamente in un abisso di confusione, dopo che il mio Dio mi ha fatto vedere l'orribile figura di un'anima in pec­cato mortale, e la gravità di esso, che vol­gendosi contro una bontà infinitamente ama­bile, le è sommamente ingiurioso. Più mi fa patire questa vista che tutte le altre pene; e io vorrei di tutto cuore aver incominciato a sofferire tutte quelle dovute a tutti i pec­cati da me fatti, perchè mi servissero di preservativo e ritegno dal commetterli, pri­ma di essere stata miserabile a segno di farli, posto ancora che l'infinita misericordia del mio Dio mi avesse assicurata di per­donarmeli senza darmi a provare pene so­miglianti.

IV. Atto di puro amore.

- Ascoltate, - o Cuore tutto amabile del Signor mio Gesù Cristo, la domanda che vi fo e la richiesta che vi presento in mio favore, io meschina ed indegna peccatrice, pregandovi della mia verace conversione. Io detesto il peccato con tanto orrore che sceglierei di essere prima subissata nell'inferno che tornarvi ad offen­dere in avvenire; e se voi mi volete con­dannare alle fiamme, sia in quelle del vostro puro amore senza riserva. Sommergetemi in tale divampante fornace a punizione di tutte le mie perfidie. E quando 1' eccesso della vostra bontà écciteravvi a farmi an­cora qualche grazia, altra io non ve ne chieggo fuori di questo dolce supplizio d'amore. Ma fate, ve ne scongiuro, che io mi vi consumi per esservi trasformata in voi. E per vendicarvi del non avervi io amato per amare me disordinatamente, fe­rite, trapassate mille e mille volte l'ingrato cuor mio collo strale del vostro puro amore, di modo che esso non possa contener più niente di terreno e di umano, ma la sola sicurezza del vostro puro amore, il quale non mi lasci più altra libertà che di amarvi patendo e compiendo la vostra santa vo­lontà. Sono queste le grazie che io vi domando, o sacratissimo ed amabilissimo Cuore, e vi supplico di concederle a me ed a tutti i cuori capaci di amarvi, per li quali io vi chieggo di vivere e di morire in questo medesimo amore. Amen ».

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