30 - GIORNO- MESE DEL SACRO CUORE- Dagli scritti di S. MARGHERITA M. ALACOQUE

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GIORNO XXX.

I. Trionfo del sacro Cuore nell’annientamento della Santa.

- Nostro Signore disse una volta con voce piena di autorità all'umile sua serva: Io ti renderò sì povera, sì vile, sì abbietta negli occhi tuoi, e ti distruggerò a segno nel pensiero del tuo cuore, che potrò edificar me sopra il tuo niente. Sotto l'impressione delle quali parole ella proruppe in questi sublimi ac­centi: « Tutto a maggior gloria del sacro Cuore del Signore nostro Gesù Cristo! O sommo mio Bene, fate che non iscriva io nulla se non per vostra gloria e per mia maggior confusione! Bisogna che io mi spenga ed annienti per viver povera, sconosciuta, nascosta nel sacro Cuore del Maestro mio divino, dimen­tica, e spregiata dalle creature; perchè quel sacro Cuore vuole fondare il suo regno sulla distruzione e nell'annientamento di me medesima. Che dolce piacere per me l'an­nientarmi per far lui regnare! L'adorabile Cuore del Salvator mio si serve di un sog­getto più atto a distruggere un sì gran di­segno che a promuoverlo; ma è a fine che tutta la gloria ne sia data al sovrano Mae­stro, e non allo strumento, ond' egli si ser­ve del medesimo fango usato da lui ad avvivare gli occhi del cieco nato.

Io mi delizio nel dolce pensiero che non avendo questo amabile Salvatore potuto trovare soggetto più povero, più vile, più meschino e più indegno di me per tale opera che a lui deve arrecar tanta gloria, mi ha scelta con intendimento di fornir egli tutti gli aiuti necessarii.

« La verità è che io sono un puro ostacolo ad ogni bene ed un composto di tutte le miserie di corpo e di spirito. So­stegno della mia fiacchezza è che il Signore si piace di glorificare, l'infinita sua mi­sericordia nei soggetti più miserabili. I peccati miei mi rendono indegna di far alcun servigio a quel Cuore divino autore di ogni santità. Ohimè! quale ho ragione di temere che per le mie grandi infedeltà ed ingratitudini io mi sia posta ostacolo allo stabilimento del suo regno! Questo mi fa desiderare di essere piuttosto da lui ster­minata mille volte, dalla faccia della terra, senza riguardo veruno amici interessi di quello che riuscire del minimo impedimento ai suoi disegni ».

II. Giudizio che portava di sé la Santa.

- Il mio adorabile Signore mi tiene per l'eccesso, di sua misericordiosa bontà così annientata nel mio spirito, alla vista di un essere del tutto rovinato e spoglio di ogni bene spirituale, che io non so abba­stanza meravigliarmi, non solo che altri si degni di prestare ancor qualche fede a così rea creatura, ma che possa pur risovvenirsi di lei. Io non sono che un'ipocrita, la quale inganna le creature con una mendace ap­parenza di devozione. Giammai non vi fu la più ingrata, infedele e malvagia di me, puro impasto di superbia e di malizia che si oppone alla bontà di lui colle proprie resistenze a' suoi divini voleri, colle proprie freddezze al suo amore, le quali mi ren­dono al suo servigio sì fiacca che mi pren­de orrore di me stessa, considerando la vita che meno, tutta di sensi e piena di peccati.

« Io mi vedo in gran bisogno di umi­liarmi; ma non so come farlo, non iscor­gendo niente al di sotto di me, che sono un puro niente, peccatore. Chiedete la mia perfetta conversione al sacro Cuore del­l' amabil Salvator nostro che non si stanchi la sua bontà di attendermi a penitenza; ma sopra tutto che non mi privi di amarlo nella eternità, colpa il non averlo amato nel tem­po. Ecco il rigoroso castigo che io pavenio, il resto non mi fa impressione alcuna.

« Vi posso assicurare che mi vedo sì lungi dalla purità d'intenzione cui Dio vuole da me, da parermi che tutte le mie azioni mi condannino. Se sapeste quanto è grande la mia malizia e quanto rende alla qua bontà ingiuriosa la mia vita, gliene doman­dereste perdono. Fatelo, ve ne scongiuro. Io penso che nessuno abbia maggiori motivi di me per temere della propria salite, tanto io mi veggo cattiva ed infedele al mio Dio: non iscorgo in me niente che non pia meritevole di eterno castigo. Lodate il Si­gnore che io non sia già per la moltitudine de' miei peccali subissata nell' inferno ».

« La mia vita sinora fu a Dio tanto ingiuriosa, che io metto nel numero delle sue più grandi misericordie quella di farmi patire quaggiù. Per questo mezzo io spero scontare qualche cosa del gran debito con­tratto co' miei peccati. Confesso che il nostro buon Dio mi tratterebbe, giustamente abbandonandomi a tutti i rigori della sua divina giustizia; ma egli vuole ancora la­sciarmi alcun tempo per esercitare la carità delle nostre sorelle e darmi agio di piangere le mie colpe e di cominciar tutto di nuovo a patire, se può appellarsi patire la ventura di partecipare alla croce del Salvatore.

« Oh quanto è duro il vivere non aman­do il sommo Bene e non patendo per questo amore! L'amore domanda le opere, e io non ho che parole pel bene ed opere pel male.

« Se sapeste quanto io mi senta lontana da ciò che dev' essere una vera figlia di Santa Maria, che ha da porre ogni studio in rendersi vera copia del crocifisso suo Sposo! Parmi fino che colle mie infedeltà io provochi tutte le disgrazie cui veggo accadere, ciò che mi è una specie di con­tinuato martirio. E non arrivo a compren­dere come mi possano tollerare, tanto mi scorgo priva di tutto. Vorrei che tutte le creature fossero animate di un santo zelo per trattarmi come una rea di lesa Maestà divina.

« Il mio rammarico per tanti orribili miei delitti contro Dio fa che mi offerisca di continuo alla sua divina bontà per patire tutte le pene che ho meritato. Accetto an­cora le pene dei peccati nei quali senza il soccorso della grazia sarei caduta. Ma il mio maggior supplizio è di non potere in me punire le ingiurie fatte al mio Salvatore nel suo santissimo Sacramento ».

III. Suo aborrimento alla stima delle creature e brama di eterno oblio.

- « Avea timore sì grande che i doni di Dio mi attirassero la stima delle creature, le quali lodano sovente ciò che merita biasimo, che avrei amato meglio di esserne priva, e meno temea tutti i furori dell' inferno che le lodi, le quali gittano un veleno secreto nell' anima e la uccidono insensibilmente, se Dio per sua bontà non vi applica il divino antidoto dell' umiliazione.

« La stima, le lodi, i plausi mi faceano più soffrire che tutte le umiliazioni, i di­sprezzi e le abbiezioni non possono fare alle persone più vane e più ambiziose di onore, il che mi facea dire all’occasione: O Dio mio, armate - piuttosto le furie tutte d'inferno contro di me, che le lingue delle creature di vane lodi, lusinghe o applausi; più presto tutte le umiliazioni, dolori, con­traddizioni e confusioni si rovescino sopra di me.

« Bramerei di tutto cuore che la mia miseria ed ingratitudine verso Dio fosse conosciuta dall' universo, affinchè niuno si ricordasse più di questa miserabile, se non per renderle il dovuto disprezzo ed umi­liazioni, nelle quali desidero vivere e morire sepolta, pregando Iddio con tutto il cuore che niuno mai concepisca di me un buon pensiero.

« Io vi confesso di buona fede, che il desiderio, onde mi sento stimolare di ve­dermi dimentica e spregiata dalle creature, mi fa patire un continuo martirio negli offi­ci della santa religione, come nello scrivere ed andare in parlatorio, che mi sembra es­sere in un inferno: Mi pare che non avrò mai riposo fino a che non mi vegga inabis­sata nelle umiliazioni e nei patimenti, a tutti sconosciuta e sepolta in eterna di­menticanza; o se altri si rammenta di me, sia solo per disprezzarmi maggiormente e darmi qualche nuova occasione di soffrire alcuna cosa pel mio Dio.

Ah vi sarei pure obbligata, madre mia buona, così alla de Saumaise, se mi faceste grazia di bruciare tutti gli scritti che avete da me, in guisa che niente mai ne sia ve­duto nè saputo nel luogo, donde uscirono; perché non è minore la mia brama di rimaner sepolta nel disprezzo e nell' oblio dopo morte che durante la mia vita.

E più tardi: Ora io morrò contenta poiché il sacro Cuore del Salvator mio comincia ad essere conosciuto, e io scono­sciuta; mentre mi sembra vedermi per mi­sericordia di lui quasi del tutto spenta ed annientata di stima e riputazione nell'ani­mo delle creature, il che più mi consola che non possa io dire. Mi sovviene il pro­messomi da voi in tale proposito, cioè d'impedire a vostro potere che sia fatta menzione alcuna di me dopo morte, fuori che in domandar preghiere per la più ne­cessitosa e cattiva religiosa che sia mai stata nell' Istituto e nella santa Comunità, ove ho l' onore di essere e ove si esercita verso di me continuamente ogni maniera di carità in sopportarmi. Non ne perderò mai la memoria innanzi al Sacro Cuore del mio Gesù ».

IV. Aspirazioni al divin Cuore.

- O buon Gesù che voleste soffrire una infinità di obbrobrii e di umiliazioni per mio amore, imprimetene potentemente la stima e l'a­more nel cuor mio e fatemene desiderare la pratica.

« O Cuore benignissimo che tanto vi compiacete in beneficarci, fatemi la grazia di spegnere il mio debito verso la giustizia divina. Io sono fallita, pagate per me; ri­parate i mali fatti da me coi beni fatti da voi; e, perchè io debba tutto a voi, acco­gliete me, o Cuore caritatevole, nella ter­ribil ora della mia morte. Ahimè! che gloria vi darebbe la perdita di un meschino atomo? Ma l'avrete grande in salvare una così

miserabile peccatrice. Salvatemi adun­que, o puro Amore, ché io voglio amarvi eternamente a qualunque costo, e voglio amarvi di tutto il mio cuore ».

CONCLUSIONE

L’umile Messaggera del sacro Cuore si immerge in esso per l'eternità. Dio, che è padrone dei nostri cuori, avea tanto bene cangiato quelli delle per­sone più opposte allo stabilimento della divozione al sacro Cuore, che la Santa ebbe, vicino a morte nel 1690, la consola­zione di vederla quasi per tutto approvata, predicata e stabilita. Durante gli ultimi quattro mesi di vita la si udì spesso an­nunciare la prossima sua fine. Io morrò certamente quest'anno, dicea, perchè non ho più niente a patire, e per non impedire i grandi frutti che il mio divin Salvatore intende cavare da un libro sulla divozione al sacro Cuore.

Era quello del padre Croiset, pubblicato poi nel 1691 con in fine un compendio della vita di lei. Per ben prepararsi a quel passo ella intraprese un ritiro di quaranta giorni dei quali ci lasciò scritte queste memorie. « Dopo la festa di santa Maddalena io mi sentii spingere gagliardamente a riformare la mia vita, per tenermi pronta a comparire davanti la santità di Dio, la cui giustizia è così tremenda ed impenetrabili i giudizii. Bisogna dunque ch'io tenga sempre i miei conti apparecchiati, a fine di non esser colta improvvisamente; perchè la è cosa spaventevole il cadere in morte nelle mani del Dio vivente, allorchè uno durante la vita si è ritratto per lo peccato dalle brac­cia del Dio morente. Mi sono adunque proposta per assecondare un movimento così salutare di far un ritiro interiore nel sacro Cuor di Gesù.

« Il primo giorno di esso fu mia oc­cupazione in pensare donde venir mi po­tesse questo gran desiderio di morire, poichè non è l'ordinario delle anime ree, come io sono dinanzi a Dio, il sentirsi agevole di comparire al cospetto del loro Giudice, la cui santità di giustizia penetra fino al midollo delle ossa, a cui non può essere niente nascosto, nè lasciato andare impunito. Come dunque, o anima mia, puoi tu provare una sì grande allegrezza nel­l'approssimarsi della morte? Tu non pensi che a finire il tuo esilio, e dài in trasporti di gioia figurandoti di uscire ben presto dalla tua prigionia. Ma ohimè! mira bene che da una gioia temporanea, forse prove­niente da solo accecamento ed ignoranza, non ti vada ad immergere in una eterna tri­stezza, e da questa caduca e mortale pri­gione non abbi a piombare nel carcere sempiterno, donde non avrai più speranza di iuscire giammai!

« Lasciamo adunque, o anima mia, gioia somigliante e desiderio di morire alle sante anime fervorose, a cui sono apparecchiate così grandi ricompense. Ma quanto a noi le opere di una rea vita non lasciano aspettar nulla fuorchè gli eterni patimenti, se Dio non fosse più buono ancora che giusto a nostro riguardo. Pensando adun­que quale possa essere la tua sorte, avrai tu a sopportare per una eternità l'assenza di Quello, il cui godimento ti dà così ar­denti desiderii, e la cui privazione ti fa sentire pene così crudeli?

« Dio mio com' è difficile a tirare questo conto, avendo io perduto il mio tempo nè sapendo come ripararlo! Nel travaglio in che mi sono trovata a porre in regola tal conto e tenerlo pronto sempre ad essere presentato, non seppi a chi rivolgermi se non all'adorabile mio Signore, il quale per sua grande bontà si è tolto il carico di farlo. Perciò a lui rimisi tutti i punti su' quali io debbo essere giudicata, e sono le nostre regole, costituzioni e direttorio, donde verrò giustificata o condannata. Dopo avere affidato a lui tutti gli affari miei, io mi sentii in una pace ammirabile, sotto de' suoi piedi, dov' egli lungamente mi tenne come tutt' annichilata nell'abisso del mio nulla, attendendo il suo giudizio intorno a questa miserabile peccatrice.

« Il secondo giorno nella mia orazione mi si presentò come in un quadro tutto quello che era io stata edera in quel punto: ma, o Dio mio, qual mostro più difettoso e più orribile a vedere! Io non vi scorgeva bene di sorta, ma tanto male che mi era un tormento a pensarvi. O Salvator mio, che sono io mai per avermi aspettata sì lungamente a penitenza, io che mi sono esposta le mille volte ad essere subissata nell'inferno per l'eccesso della mia malizia, ed altrettante voi me ne avete rattenuta per vostra bontà infinita! Continuate dun­que, o amabile mio Salvatore, ad esercitarla in così miserabile soggetto. Non privatemi, o Dio mio, di amarvi nell'eternità, per non avervi io bastevolmente amato nel tempo. Del resto fate di me come a voi piacerà; io debbo a voi quanto ho e quanto sono, e tutto il bene che posso fare non varrebbe a riparare la minima delle mie colpe, se non per voi: Io sono fallita, voi lo vedete bene, o Signore mio divino; mettetemi in prigione, io vi consento, purchè sia in quella del vostro sacro Cuore; e quando io vi sarò; tenetemi dentro ben chiusa e legata colle catene del vostro amore fino a che vi abbia pagato tutto il mio debito; e come io non potrò mai fare, così bramo di non uscire di prigione giammai ».

In una sua lettera del medesimo tempo si legge: Io mi trovo in tale cessazione di ogni desiderio che mi fa stupire. Temo che siffatta pretesa pace sia effetto di quella tranquillità, in cui Dio lascia talora le anime infedeli; onde mi viene il pensiero che a cagione delle mie grandi infedeltà alle sue grazie io mi abbia tirato addosso que­sto stato, il quale potrebbe essere un segno di riprovazione; poichè confesso di non saper volere nè desiderare niente in questo mondo, sebbene mi vegga, in materia di­virtù, mancante di tutto. Solo io provo un perfetto acquetamento nel divino beneplacito ed un piacere ineffabile nei patimenti ».

A tale stato di perfezione era ella giunta quando piacque al Signore di chiamarla a sè.

Durante la sua malattia, essendosi ac­corta una suora ch'ella pativa straordina­riamente, si offerse a procurarle qualche sollievo; ma ella ne la ringraziò, dicendo che tutti i momenti che rimaneanle a vivere troppo erano preziosi nè si doveano per bere senza profitto; molto a dir vero pe­nava, ma non era tuttavia bastevole a con­tentarne il suo desiderio, tanto ella gustava dei patimenti, e coglieva sì grande con­tento a vivere ed a morire sulla croce, che per quanto fervida avesse la brama di andar a godere il suo Dio, pure l'avrebbe più grande di rimanersi nello stato in cui era fino al giorno del giudizio, se tale fosse il buon piacere di Dio, nel quale tanto si deliziava.

Il Signore volle tuttavia purificare quella sant' anima ispirandole, una sì gran tema della sua giustizia, che di colpo ella fu presa da insoliti sgomenti all'aspetto dei terribili giudizii di Dio. E la si vedea tre­mare, umiliarsi, inabissarsi davanti al suo crocifisso; e si udiva ripetere con profondi sospiri: Misericordia, Dio mio, misericordia! Ma poco appresso quei terrori si dilegua­rono, e l'anima sua si trovò in grande calma e certezza della propria salute. La tranquilla letizia riapparvele in volto; ed ella ripetea: Misericordias Domini in ae­ternum cantabo. Altre volte: Che voglio in cielo e che desidero io sulla terra? Voi solamente o Dio mio! Più altre ancora: « Ahimè, io brucio, io brucio! Se ciò fosse di amor di Dio, quale consolazione! Ma io non ho saputo mai amare il mio Dio per­fettamente. E rivolgendosi a quelle che la sorreggevano: Domandate a lui perdono per me, ed amatelo bene con tutto il vostro cuore in riparazione di tutti momenti che io non l'ho fatto. Quale beatitudine amar Dio! Ah quale beatitudine! Amate, dunque questo Amore, ma amatelo perfettamente.

Ciò che ella diceva in tali trasporti, mostrava bene come ne fosse veramente compresa. Si estese appresso parlando del­l'eccessivo amore di un Dio verso le sue creature, e del poco ricambio che a lui esse ne rendono. Ah Signore, quando mi ritrar­rete voi dunque da questo luogo di esilio? aggiungeva ella più volte ripetendo: Lae­tatus sum in his quae dicta sunt mihi... Sì, lo spero dalla misericordia del sacro Cuore, andremo alla casa del Signore!

Pregò quindi che si recitassero con lei le litanie di quel Cuore adorabilissimo e quelle della santissima Vergine, per render­sela propizia nel supremo suo momento. Un'ora prima di spirare, ella ringraziò di nuovo la superiora di tutti i sollievi, che si procurava di arrecare al suo male, di­cendo di non abbisognarne più, non aven­do altro a fare in questo mondo, fuorché sommergersi nel sacro Cuore di Gesù Cri­sto. Dopo di che dimorò ella per alcun tempo in perfetta calma, e proferito il santissimo nome di Gesù, rese soavemente il suo spirito, per un eccesso di quell'arden­te amore al Signor suo, che fino dalla culla avea gittate in lei così profonde radici.

ORAZIONE

Signore onnipotente ed eterno, volgete gli occhi al Cuore del dilettissimo vostro Figliuolo, mirate le soddisfazioni ch' egli vi offre in nome di tutti i peccatori, ascol­tate le lodi che per loro vi rende, e placato dalle sue divine adorazioni, in nome di questo diletto Figliuolo Gesù Cristo, per­donate i nostri peccati ed usateci miseri­cordia, voi che vivete e regnate nei secoli dei secoli. Così sia.

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