RIFLESSIONI SU MARIA IMMACOLATA

Immacolata
Se si acquista uno splendido gioiello e lo si vuole esporre al pubblico oppure lo si vuole custodire gelosamente, certamente non lo si collocherà in un luogo qualsiasi, ma in un posto proporzionato alla bellezza e all’importanza dell’oggetto medesimo, quale potrebbe essere una vetrina luminosa o una cassaforte adeguata.
Analogamente, per entrare nella storia e dimorare con noi, il Verbo di Dio non poteva scegliere se non un seno carnale proporzionato alla sua grandezza, vale a dire perfetto e limpido sia pure nelle sue limitazioni; di conseguenza è cosa logica che Egli abbia dovuto predisporre per sé una donna assolutamente priva di tutte quelle carenze e peccaminosità che concernono la realtà umana, ivi compreso il peccato originale. Il corpo di Maria doveva essere assolutamente immacolato, ossia puro e limpido per poter ospitare il Dio delle assolute perfezioni che voleva farsi uomo.



E’ vero infatti che Dio fatto uomo (Gesù Cristo) condivide in tutto e per tutto la precarietà e la nullità degli uomini, ma a questo si deve eccettuare il peccato, e quindi anche la possibilità che potesse nascere carnalmente in un grembo corrotto dalla macchia originale che ci interessa tutti. Ciò è sufficiente a spiegare la motivazione della solennità di oggi: Maria è Immacolata, ossia esente dal peccato originale. Fra l’altro, per implicito, lo rivelano le parole dell’angelo: “Tu sei benedetta fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù”; le quali affermano la benedizione speciale attribuita a Maria in vista della sua missione di essere Madre di Dio. Se Maria è benedetta fra tutte le donne, si deve necessariamente concludere che tale benedizione la “dispensa dal peccato originale.
La prima donna (Eva) avrebbe potuto fronteggiare senza riserve e con piena possibilità di successo le maligne insinuazioni del serpente quando questi la tentava a raccogliere il frutto proibito. Lo dimostra il fatto che ella sulle prime pone al medesimo delle obiezioni dal tono perentorio e categorico: “Di tutti gli alberi del giardino noi (Adamo ed Eva) possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non ne dovete toccare, altrimenti morirete.” (Gen 3, 2-3); nelle sue affermazioni si palesa la chiara consapevolezza del malessere morale al quale sarebbero stati assoggettati lei stessa e il suo uomo nella disobbedienza al divino volere, e pertanto anche la convinzione fondata per cui non conveniva contravvenire a tale ordine. Il serpente nondimeno riesce a dissuaderla (“Non morirete”); e il peccato è fatto.
Si conclude allora che se la colpa maggiore di tale mancanza è da attribuirsi al perfido animale strisciante –che infatti Dio maledirà per primo- (Gen 3, 14), una grossa parte di torto sarà da attribuirsi ad Eva che si è lasciata da questo sedurre, appunto perché lei, lungi dall’essere una donna stupida e sprovveduta, possedeva tutte le carte in tavola per poter uscire a testa alta da quella situazione adoperando al meglio la razionalità e la libertà responsabile.
Prima ancora che la raccolta del frutto, il peccato di Eva è consistito pertanto nella sua negligenza nel far fronte alle tentazioni diaboliche, nonché nel prescindere dalle prerogative di cui sopra.
La tradizione della Chiesa vede in Maria una “Nuova Eva”. Non soltanto perché in questa umile fanciulla si affermerà la nuova donna che collabora alla storia della salvezza in contrasto con la prima donna causa di perdizione, ma anche per il fatto che a differenza della prima donna ha saputo reagire prontamente alla propria debolezza compiendo un atto di coraggio, in una determinata situazione nella quale avrebbe potuto anche tirarsi indietro.
Alle parole dell’Angelo Gabriele, infatti, Maria afferma “Eccomi, sono la serva del Signore. Avvenga di me quello che hai detto.”;ciò tuttavia non prima di avere attentamente valutato la proposta che le veniva rivolta e considerato i pro e i contro.
Nella vicissitudine di quel colloquio si trova nelle condizioni per le quali avrebbe potuto benissimo anche vacillare nella fede e addirittura opporre resistenza ai disegni dell’Altissimo giacchè è comprensibile che, specie se rivolteci a bruciapelo, simili proposte di improvvisa maternità possono dare luogo a reazioni istintive e non ponderate. Così avvenne in un certo qual modo a Zaccaria- a cui Dio per punizione tolse la parola- nell’analoga situazione della profezia sulla nascita di Giovanni Battista.
Eppure questa giovane fanciulla manifesta padronanza e sicurezza di sé, e al contempo si mostra intraprendente e razionale nel condurre la conversazione con l’angelo: non reagisce all’invito attraverso un diniego, né esternando una mancanza di fede; semplicemente rivolge all’angelo un’osservazione: “COME avverrà che io sarò madre, dal momento che NON CONOSCO UOMO?” Sempre secondo la Tradizione infatti Maria aveva emesso un voto di verginità per il quale si era predisposta a non avere rapporti con l’altro sesso in senso carnale, ragion per cui se lo spirito critico è legittimo in tutte le situazioni di obbedienza, nel caso di Maria è giustificato maggiormente: “Come avverrà?”
In secondo luogo Maria accetta l’improvvisa maternità ben soppesando quello che essa avrebbe comportato nella dimensione sociale dell’epoca: è vero che per lei vi era la garanzia di una gravidanza voluta dalla sola forza dello Spirito Santo, tuttavia era cosa certa che le giovani donne che si fossero trovate gravide prima dell’unione sponsale erano destinate alla lapidazione, e pertanto non poteva Maria non considerare la consistenza del pericolo che avrebbe dovuto affrontare. Tanto più che la Legge di Mosè a tal proposito era draconiale fino al paradosso,al punto che noi oggi potremmo definirla assurda e inaudita: se una donna veniva violentata sessualmente, si aprivano automaticamente due possibilità: 1) qualora fosse stata violentata in aperta campagna, non era colpevole di adulterio e oggetto di condanna era il solo aggressore; 2) qualora fosse stata violentata in città o in un centro abitato, allora era anch’essa colpevole di adulterio e andava punita con la lapidazione assieme al suo violentatore.
Nel primo caso, infatti, anche invocando aiuto ad alta voce, nessuno l’avrebbe sentita e il soccorso da parte di altri sarebbe stato impossibile; nel secondo caso, svolgendosi la violenza in città, avrebbe potuto gridare e qualcuno l’avrebbe soccorsa. Ecco perché in tal caso era colpevole di adulterio.
E in un villaggio ristretto di poche centinaia di abitanti quale era quello di Betlemme, chi non avrebbe potuto accorgersi della violenza che Maria stava subendo? Si comprende dunque la gravità del rischio, che, senza sua colpa, la nostra fanciulla stava per affrontare.
Anche se i Vangeli non mensionano specificamente questo assunto, è cosa evidente che Maria potesse essere stata sottoposta alla “prova dell’acqua amara” in uso presso il tempio e operata dal sacerdote ai fini di scoprire la colpevolezza o meno di adulterio da parte di una giovane donna.
In terzo luogo occorre anche considerare che Maria nel pronunciare quel “sì” famosissimo e oggi tanto venerato, era ben conscia che avrebbe rinunciato allo splendore e alla spensieratezza della vita adolescenziale per andare incontro a non pochi imprevisti.
Questo suppone anche per noi la necessità della rinuncia in vista di progetti a vasto raggio orientativi alla missione e al bene per il prossimo: qualsiasi scelta comporta una rinuncia da eleggersi deliberatamente, e se ogni deliberazione suppone che si abbandoni un progetto da noi stessi impiantato, ciò vale ancora di più per tutte quelle scelte che imporranno fermezza, categoricità e determinazione nell’essere svolte e portate a compimento per il semplice fatto che la loro provenienza è “divina” e che è l’Altissimo ad eseguire un programma su di noi. E’ il caso della vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa, che suppone l’abbandono di molteplici sicurezze personali in vista della causa del Regno di Dio, come anche la chiamata alle missioni fuori porta, che impongono l’abbandono della propria terra per nuovi orizzonti sconosciuti e situazioni impreviste da affrontare. Maria si ritrova in quest’ultima tipologia di scelta/rinuncia, se è vero che abbandonerà perfino la sua terra di origine per recarsi in un paese sconosciuto come l’Egitto dalle fattezze culturali estranee, nel quale le comodità saranno solo un sogno, al fine di proteggere il piccolo Gesù dall’ira imminente di Erode. Ma già adesso nelle rinunce appena descritte si muove su questa linea; e lo fa’ con estrema sicumera e spirito di interesse per l’umanità, conscia che il progetto divino su di lei sarebbe stato volto a suo beneficio.
Una volta che si è sicuri di essere stati chiamati ad un determinato stile di vita o a un certo ministero non compatibile con le nostre condizioni attuali, si deve agire senza tentennamenti e senza riserve e adoperarsi in questo secondo uno spirito di critica partecipazione.
Infatti, come accennato in precedenza, Maria non si mostra soltanto sottomessa e disposta, ma mostra anche spirito di partecipazione nell’esporre opinioni e nell’obiettare, ovviamente ferma restando l’autorità indiscutibile di Dio: la frase “Com’è possibile? Non conosco uomo!” ci rivela in questa donna un sentire e un atteggiamento che sono ben lungi dall’obbedienza acritica ma che nell’obbedienza esternano capacità di intraprendenza.
Esaminiamoci allora nel contesto delle nostre situazioni di sottomissione in campo lavorativo, professionale sponsale e (nel mio caso) religioso. Con quale spirito accettiamo quello che ci viene proposto dall’autorità che ci compete? Con paura e frustrato timore reverenziale nonché malcelato dissapore e malcontento nei confronti di chi sta al di sopra di noi, oppure con spirito di fiducia reciproca e reciproca collaborazione nell’esporre opinioni e fare rilievi?
Qual è il nostro atteggiamento da cittadini nella convivenza civica e nell’ordine e disciplina pubbliche? Quello che suppone la ragione necessaria e sufficiente per evitare le riprovazioni da parte dei tutori della legge, oppure quello della responsabilità di coscienza, ossia della consapevolezza che il senso civico di ciascuno contribuisce al benessere dell’intera collettività?
Tornando alla Nuova Eva, se nella prima donna si riscontra dunque il pessimo orientamento da parte sua di quelle che in lei erano le caratteristiche di razionalità e temperanza, in Maria si nota invece lo spirito della donna libera, determinata, incondizionata e padrona del carattere che delibera della sua vita riscontrando la convenienza dei progetti del Signore, e preferendo questi alle proprie progettazioni.. Il che non mancherà di procurarle in futuro il riconoscimento di tanti meriti legati a sofferenze e privazioni: già lei stessa a casa di Elisabetta lo affermava: “D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno Beata”. Perché? “Non perché io sia una donna eccezionale o altolocata rispetto alle altre, ma perché grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e tutto quello che in me si è verificato risponde al disegno da parte Sua di salvare l’umanità e io in questo progetto salvifico rientro!” Inoltre perché Maria ha volontariamente fronteggiato le prove di cui sopra e se è vero che ad ogni prova succede un’adeguata ricompensa, le sue ricompense sono state proporzionate ai suoi affanni.
Come sarebbe opportuno che ce ne ricordassimo anche noi (io per primo) tutte le volte che ci si chiedono frustrazioni, umiliazioni e che ci si trovi sottomessi alle ingiustizie, molte volte senza la possibilità di reagire nella replica e nelle rimostranze… La giustizia vera e propria deriva dal Signore e nessun tribunale umano potrà mai equipararla.
Ecco perché noi la si può vedere quale modello di donna emancipata che la cultura odierna più volte rivendica: oggigiorno si auspica, specialmente nelle culture differenti da quelle europee, l’affermazione della donna in ruoli e attività particolari, nonché la pari opportunità e la pari dignità con l’altro sesso. Soprattutto, si tende a voler rivalutare l’ideale della donna moderna partecipe, intraprendente e libera…. A volte la legittima pretesa di affermazione e autonomia della donna da’ luogo a fraintendimenti ingiustificati come la legittimazione della scelta dell’aborto “in nome della libertà del sesso femminile”; ma Maria non si è forse mostrata piena di riserve proprio difendendo la vita umana con coraggio, non soltanto accettando un parto ignobile nella rudezza dello speco, ma anche fuggendo all’ira di Erode?
Quante volte poi si intravede nella propaganda una situazione di sfruttamento del corpo femminile, reso oggetto di vituperio al solo fine commerciale e affaristico, e quante sono le donne che accettano volentieri tale condizione di mancato rispetto alla propria dignità corporale? Per non parlare poi della nefandezza del fenomeno della prostituzione, allusivo ad una cultura pressocchè edonistica che sottomette il corpo femminile ai piaceri altrui…. Non ha forse manifestato Maria la propria realizzazione sociale nel mantenimento della castità, e non ha forse manifestato tranquillità in tutti i sensi nel vivere questa sua situazione?
Non si può che guardare a Maria, che nella sua coraggiosa decisione offre a tutti un modello di autoaffermazione libera e spontanea, che non contrasta –anzi collima in pieno- con la volontà di Dio: nel rispondere al divino progetto, Maria non si mostra affatto sottomessa acriticamente, ma rivela se stessa come compartecipe nello spirito del dialogo e della collaborazione, con i disegni del Signore.
Nel titolo di Immacolata ci viene suggerito inoltre che non è affatto impossibile la realizzazione in questo mondo attraverso la continua appartenenza a Dio e la fuga dal peccato: se è vero che la santità richiede eroismo, fatica, vessazioni e determinazione, ciò non vuol dire che esse non siano ricompensate, mentre la sequela del Vangelo nelle comuni circostanze della vita piuttosto che dal mostrarsi inutile contribuisce a rendere migliore il presente in cui stiamo vivendo. La santità vissuta secondo varie caratteristiche specifiche è infatti garanzia di trasformazione del mondo.
Ben venga dunque il titolo di Maria Immacolata!


























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